Nel periodo di Quaresima, nei paesi griki di Puglia, è ancora possibile imbattersi nella “Quaremma”, la vecchia vedova del Carnevale costretta a lavorare e digiunare
Un posto di rilievo tra le tradizioni popolari della Grecìa salentina nel periodo di Pasqua, spetta certamente alla Quaremma (detta anche Coremma, Caremma o Curemma), soprattutto per la somma di significati più o meno manifesti che ad essa vengono attribuiti, anche se oggi questa usanza è meno diffusa rispetto a un tempo.
La parola Quaremma, che deriva probabilmente dal francese Carême, è la forma dialettale salentina del termine italiano Quaresima, il periodo di quaranta giorni, successivo al Carnevale, che prepara l'avvento della Pasqua; nel griko salentino questo periodo è indicato col termine sarakostí (dal greco tessarakosth') e la Coremma è chiamata costeddha.
Si tratta di un fantoccio con le sembianze di una vecchia vestita di nero che compare appeso in alto agli angoli delle strade o ai balconi, dopo la mezzanotte dell'ultimo martedì di Carnevale, per venire poi bruciato nel giorno di Pasqua. Nelle mani, sotto un’ascella o ai suoi piedi è corredata di significativi accessori: un fuso e una conocchia (mucchietto di lana, lino o canapa), simboli della laboriosità femminile e dello scorrere del tempo; una patata o un’arancia con conficcate sette penne di gallina, sostituite a volte da sette cuddhure o tarallini, come rudimentale calendario per tener conto delle settimane che separano dalla festa della Resurrezione.
La vecchietta è la vedova del Carnevale, veste di nero in segno di lutto e si prepara ad affrontare una vedovanza dura e priva di mezzi, poiché il marito, scialacquatore, l'ha lasciata in miseria. Deve quindi lavorare per pagare i debiti e per poter vivere e deve sottostare anche a privazioni alimentari: mangerà pane azzimo, "lampascioni" (cippollacci dal fiocco) e verdura.
La Quaremma, è evidente, costituiva in origine una potente allegoria didascalica: ricordava ai credenti che la Chiesa si trovava in un periodo di lutto, per cui feste e godimenti andavano banditi e si dovevano affrontare giorni di sacrifici e di rinunce, utili anche a rimpinguare le scarse scorte alimentari, ridotte al minimo dai festeggiamenti carnevaleschi.
Dare fuoco alla Quaremma assume un forte significato metaforico: bruciare collettivamente povertà e miseria.
Secondo alcuni antropologhi inoltre, la Quaremma avrebbe un legame con la mitologia greca classica e rappresenterebbe Cloto (dal greco Klothes, filatrice), una delle tre Moire greche (le Parche della mitologia romana): colei che reggendo una conocchia fila il destino degli uomini.