Immergiamoci nell’atmosfera natalizia come vissuta nella comunità di minoranza linguistica arbëreshë di Calabria
La diaspora arbëreshë di rito greco-bizantino si appresta a celebrare il Natale rinnovando secolari tradizioni popolari e suggestive usanze.
Già dal giorno dedicato a Santa Lucia, il tredici, la festa è nell’aria e nei dodici giorni che intercorrono tra il quattordici e il venticinque dicembre, i cosiddetti cuntati, i contadini osservano con particolare attenzione il tempo atmosferico, poiché da come esso si comporta in questi dodici giorni si traggono le previsioni meteorologiche per ciascun mese del nuovo anno.
Nella settimana che precede il giorno di Natale, in molte abitazioni si preparano i tipici dolci natalizi arbëresh: le quinullilet , deliziose paste ripiene di ricotta, fritte nell’olio e ricoperte di zucchero a velo o miele; i krustulit, dolci a forma di enormi gnocchi fritti nell’olio di oliva e innevati di zucchero; la xhurxhullena, specie di torrone condito con miele, zucchero e a volte con sesamo. Dalla loro riuscita, secondo la magica superstizione popolare ormai appannata rispetto al passato, si traggono buoni auspici per la salute delle persone. Alle famiglie che nell’arco dell’anno hanno subìto un lutto, le fritture e i dolci natalizi tradizionali vengono forniti dai vicini di casa o dagli amici, come vuole una antica usanza.
In alcuni centri come San Benedetto Ullano, San Martino di Finita e Santa Sofia d’Epiro, in provincia di Cosenza, nella notte della vigilia di Natale il sagrato della chiesa madre diventa il “focolare di tutti”. Poco prima della messa, si dà fuoco ad una grande catasta di legna e frasche in una atmosfera di gioia, attorno alla quale è ancora possibile udire qualche vjersh, i tipici canti tradizionali degli italo-albanesi. Appartiene sempre più al passato l’usanza secondo la quale la mattina di Natale i contadini raccoglievano e conservavano la cenere del grande falò della sera precedente, per poi spargerla nell’aria allo scopo di far cessare la tempesta quando, scatenandosi, poteva compromettere il raccolto.
Essendo bandita la carne, in sintonia con la tradizione cristiana, la cena della vigilia è tutta a base di pesce. In molte famiglie, il baccalà con i porri è ancora preferito ai costosi pesci. Sia pure sotto l’aspetto meramente simbolico, è d’obbligo consumare le “tredici pietanze” (in alcuni centri esse sono nove), un rito ancor’oggi irrinunciabile.
Anche la prima portata è all’insegna della semplicità: le acciughe con la mollica. Puliti, infarinati e fritti, i pesciolini sono conditi con pane, menta, spicchi d’aglio sminuzzati e aceto. Un piatto povero ma ricco di sapore e nel pieno della tradizione.
Nella magica notte della vigilia di Natale, si crede che persino il miracolo sia possibile.
Chi possiede animali, compresi quelli da stalla, è bene che abbia cura anche di loro. Quella notte, infatti essi “possono parlare”, e affinchè non sparlino dei padroni, è bene dare loro da mangiare in abbondanza. Guai però a origliare dietro la porta della stalla, questa curiosità può costare cara. Si racconta, infatti, di un contadino che, sentite le sue bestie parlare, sarebbe morto di spavento!
La notte di S. Silvestro, sopravvive, anche se sempre più raramente, l’usanza portata avanti da gruppi di ragazzi secondo la quale, dopo la mezzanotte davanti gli usci delle case si lascia una grossa pietra o un grande ceppo, oppure, oggi molto più “di moda”, un qualsiasi oggetto purchè ingombrante, trovato per strada, per sbarrare la porta degli ignari proprietari.
( Fonte: sito www.arbitalia.it; immagine tratta da "Arbëria", opera prima della regista piemontese di origini arbëreshë Francesca Olivieri)
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Buon Natale e Felice Anno Nuovo