Presentata l'iniziativa che intende raccogliere, catalogare il materiale e le testimonianze sulla figra di don Antoni Bellina, sacerdote che contribuì, con le sue battaglie e con le sue opere a prendere coscienza della particolarità culturale e storica dell'essere friulani.
con piacere le invio dei link per poter rimandare ad una maggiore conoscenza di pre Pier Antonio Bellina (il nome completo in italiano. Come avrà modo di notare, a parte l'ultimo suo scritto, un'intervista, tutto il resto è in lingua friulana. Un'opera letteraria che spazia da racconti, a saggi sulla chiesa e sulla società. In particolare il suo nome è legato alla traduzione della Bibbia in friulano, assieme a don Francesco Placereani. La sua principale battaglia è legata alla autocoscienza dell'essere friulani, nella non omologazione e di una dignità che parte da una storia spesso negata e nei migliori casi ignorata (in primis dagli stessi friulani). La chiesa locale ufficiale lo ha osteggiato varie volte per le sue posizioni di critica alla chiesa stessa (una critica che reclamava un cambiamento: Tornâ cun la int, ovvero ritornare tra la gente, condividendo e prendendo le parti dei più deboli, anche sotto il profilo culturale (paesi).
Pietra dello scandalo fu "La fabbriche dai predis (La fabbrica dei preti), un libro appassionante, triste e ironico, che descriveva la vita in seminario, quello di Udine, dove si facevano i preti con un livellamento che per conseguenza portava alla "morte" dell'individuo e delle sue radici (ivi compresa la lingua). Il libro fu fatto ritirare dalla curia, e pre Toni fu indotto, pena la perdita della sua parrocchia, a compiere un atto formale di scuse. Il libro circola ancora, ma non ufficialmente.
Oggi c'è una polemica in atto tra chi vorrebbe le sue opere tradotte in italiano e chi ritiene di essere ortodosso e rispettare la volontà di pre Toni di esprimersi in friulano, come atto di dignità e di amore verso la sua (nostra) lingua.
Da morto, pre Toni Beline (in friulano) ha molti più ammiratori che da vivo. In ogni caso fu un profondo amante della sua Chiesa, in particolare verso quella di Aquileia, ma soprattutto fu un uomo libero o quanto meno cercò con tutte le sue forze di esserlo. Amo ricordare, a titolo esemplificativo, una sua frase: In glesie si picje il cjapiel, no il cjâf. Tradotto: In chiesa si appende il cappello, non la testa. Allego il comunicato stampa in lingua italiana, la lista bibliografica e i link utili per un maggior approfondimento.